Sala 3 Arti del porto
Maestri di vele e velaie. Tra le specializzazioni professionali che fungono da indispensabile complemento alle attività marinare rientra quella dei maestri velai e delle velaie. A Pesaro nel secondo Settecento fra i “maestri velai” si distinguono gli Sponza, originari di Rovigno d’Istria. I “maestri e tagliatori nel far le vele di barca nel porto di Pesaro” si servivano di manodopera femminile. In particolari momenti si introdusse la necessità di colorare le vele per distinguere da lontano e permettere l’identificazione del legno in navigazione. Le vele erano realizzate con tela di cotone e venivano colorate all’aperto, usando “terre colorate” sciolte in acqua con l’aggiunta di farina o resina di pino come collante. Dopo aver delineato sulla tela bianca un disegno con un carboncino, si stendeva il colore usando larghi pennelli o spugne e, una volta asciugatasi la tinteggiatura, la vela veniva immersa nell’acqua del porto per fissare il colore ed eliminare quello in eccesso; infine si issava la vela sull’albero della barca per farla asciugare. Il disegno, personalizzando la barca, ne permetteva l’immediata individuazione, potendosi riconoscere il proprietario o il paròne che l’aveva in consegna. Il disegno dunque, pur nella sua semplicità, doveva risultare originale e diverso per ogni imbarcazione. La coloritura delle vele inoltre garantiva la protezione della tela dalle muffe.
I cordai. L’attività dei cordai era svolta per lo più in spazi aperti, lungo le sponde del porto canale, le strade, la spiaggia, aree libere, tali da consentire la stesa dei fili e il necessario movimento per intrecciarli e ritorcerli. Le varie fasi del processo di lavorazione richiedevano la cooperazione di più persone, almeno due per la filatura e altri aiutanti dovevano aggiungersi nei momenti della torcitura. Spesso per girare la ruota aiutavano donne e bambini. Era delegato ai più giovani anche il compito di sganciare ogni volta le estremità dei filati dalle carrucole della ruota, di fissare ai paletti conficcati in terra o anche di reggere il gancio con cui si tendevano i fili e si intrecciavano fra loro per formare i trefoli ed ottenere la corda. Alle donne spettava infine l’operazione di rifinitura, consistente nel bagnare e pulire la corda ultimata. Per rendere maggiormente resistenti le corde, destinate agli usi di marina, come anche le vele e le reti, variamente intrecciate a seconda della destinazione d’uso per la pesca, il procedimento d’obbligo era l'”impeciatura” eseguita immergendo il tutto in grandi contenitori di pece bollente.